Lo strano caso del Dr. Chances-Pier Giorgio Tomatis
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Cap. 2
FAO
Al palazzo della FAO, quel giorno del Millenovecento ottanta, l'atmosfera, non avrebbe dovuto essere delle più tranquille. Il tempo era clemente ed il sole scorrazzava indisturbato nel cielo illuminando ogni angolo della città. Il traffico stradale scorreva nelle arterie della zona interessata con la stessa velocità con cui sono riempiti i boccali di birra in Baviera durante l’oktoberfest. Persino i semafori sembravano contagiati da questo clima di apparente elettricità, tanto che ogni automobilista aveva l’impressione di trovare luce verde ad ogni incrocio. La routine lavorativa snervava la gente comune lasciandola priva di suggestioni e vitalità. Gli operai nei cantieri edili si muovevano in modo meccanico e le industrie locali stavano diventando parte passiva del paesaggio naturale. L’insofferenza e il disinteresse sembravano essere le uniche sensazioni degne di nota su quella terra in passato così vigorosa e vivace. L’assemblea del Food and Agriculture Organization si poneva in netto contrasto con tutto ciò che viveva fuori del palazzo in Via Terme di Caracalla a Roma. Che l’unica fonte di vitalità del luogo fosse in una situazione critica era assai paradossale ma in verità era da parecchio tempo che i dissidi si perpetuavano tra le mura di cemento del palazzo. Due opposte fazioni di delegati si scontravano a suon di protocolli e carte bollate sulla politica da adottare per i successivi venti anni. Da una parte si schieravano gli SMILERS, dall’altra i PURSUERS. I dati forniti dal primo dei due gruppi descrivevano una situazione ambientale che risentiva del forte inquinamento ma solo in modo marginale e, anzi, vedeva un netto miglioramento laddove la mano dell'uomo era intervenuta per correggere difetti di madre natura. Come se potesse averne. Il secondo gruppo, invece, era un po' meno ottimista. La terra non stava certo vivendo una nuova età dell'oro. Il prodotto dei raccolti era in diminuzione rispetto al quinquennio precedente. La fascia d’ozono destava forti preoccupazioni. Le malattie respiratorie, e quella provocate dall'inquinamento idrico, erano in notevole rialzo. I due contendenti predicavano l’uno attendismo, l'altro un moderato intervento. O’Sullivan, Mac Rawnee e Dougall, dopo essere stati insigniti di numerose onorificenze militari nel loro paese d’origine, avevano deciso di trasferirsi in Inghilterra, con le rispettive famiglie al termine della grande guerra. I figli John, Charles e Kate (O’Sullivan), Mark e Angel (Mac Rawnee), Timothy e Sally (Dougall) crebbero in suolo britannico e formarono a loro volta nuovi rami della discendenza. Legati storicamente da una salda amicizia affrontarono insieme un nuovo viaggio, verso la Scozia e qui nacquero le nuove generazioni. Jack O’Sullivan (figlio di Charles e Tina Quantrill), Thomas Mac Rawnee (figlio di Mark e Louise Lasser) e Agatha Dougall (figlia di Timothy e Geraldine Mc Claire), divennero ambasciatori presso la FAO e, seppur con toni meno accesi, presero involontariamente parte alla disputa. In realtà, nessuno di loro faceva parte di alcun gruppo di contendenti. La loro opinione era assai meno morbida degli SMILERS e sicuramente più accentuata di quella dei PURSUERS. Pensavano che le cose non stessero andando per niente bene e che occorreva fare qualcosa. E in fretta. Quel giorno attendevano di poter tenere un breve ma rilevante discorso. Secondo la loro opinione, lo sfruttamento del pianeta Terra aveva bisogno di essere meglio disciplinato. Senza lanciare eccessivi allarmismi, essi erano convinti che occorresse limitare l'emissione di anidride carbonica, principale responsabile dell'effetto serra. Quando arrivò il loro turno, essi esposero le proprie considerazioni e conclusioni. E furono moderatamente soddisfatti. Terminato l'intervento, si accomodarono nelle poltrone di pelle nera nel settore di appartenenza. A seguire, ci sarebbe stato un esimio professore austriaco di cui non si sapeva molto. Solo il suo nome: Eugene Chances. Questi era un individuo di altezza media, dal giro vita non tenuto sotto controllo. Vestiva abiti di lusso ma mal combinati tra loro. Il che poteva significare una cosa sola: che aveva i quattrini per permettersi ogni tipo di capriccio mondano ma non una frequentazione dei salotti che contano, sufficiente a raggiungere un giusto grado di esperienza in materia. Questo esimio Professore si avviò verso il leggio tra il silenzio generale. Improvvisamente e senza spiegazione apparente, i gruppi e le fazioni contrapposte si zittirono e decisero all’unisono di ascoltare con austera attenzione il suo intervento. L’anziano cattedratico sistemò i suoi fogli, diede un severo sguardo alla sua platea e incominciò a parlare.
Ho ascoltato con moderato interesse quanto affermato in questi giorni dai miei illustri colleghi. Esordì usando un tono colloquiale, parole equilibrate, sforzandosi di guardare le persone sedute in sala allo stesso modo per non dare adito al pensiero che potesse parteggiare per una fazione a svantaggio dell’altra. Trovo illuminante l’analisi fatta dal Professor Stanislaw Lee…
Un leggero eco di soddisfazione si alzò da quella parte di platea che si riconosceva nelle tesi dell’esimio Professor Lee. Un velato ma garbato coro di dissenso giunse, invece, da quanti non appoggiavano quell’intervento.
Al contempo, non ho nulla da ridire per quella del Professor Jackob Kirby.
La scena precedente si ripeté. A parti invertite, però. Chi prima aveva gioito compostamente ora mugugnava. E viceversa. Il Dottor Chances non sembrò minimamente curarsi dell’esito del suo discorso e proseguì senza interruzione.
Però, lasciatemi dire cari colleghi, manca qualcosa d’importante in ognuna delle nostre iniziative.
A quel punto tutti, in platea, mugugnarono e aggrottarono la fronte. Ovviamente, superato il primo attimo di stupore, gli SMILERS pensarono che il Professore si stesse preparando a portare la stoccata decisiva nei confronti dei PURSUERS. Naturalmente, com’è ovvio, i PURSUERS stavano pensando l’esatto contrario.
Sì. Ne sono assolutamente convinto. Ci stiamo dividendo sulla prospettiva del mondo dei prossimi lustri senza prevedere un fattore fondamentale. Rimarcò, stringendo i bordi di legno del leggio come a voler trovare la forza per fare ciò che riteneva andasse fatto. Alla nostra equazione manca un termine. Un valore. Mi spiego meglio. Fino ad oggi il nostro obiettivo è sempre stato quello di verificare quali capacità avesse la Terra di produrre cibo e la abbiamo suddivisa per il numero dei suoi abitanti.
Ognuno, compostamente seduto in platea, guardò meravigliato il Dottor Chances, come se quest’ultimo avesse scoperto l’acqua calda. Chiedendosi con il massimo stupore dove volesse andare a parare. Il Professore si preparò a sconvolgere tutti i presenti.
Diamo per scontato che esistano tre valori fissi. Il primo è quello che tecnicamente la Terra è in grado di produrre se ogni ettaro fosse coltivato. Il secondo è quello che scaturisce dai dati dei vari Paesi negli ultimi lustri: il prodotto agricolo rapportato agli agenti atmosferici, alle scelte politiche, al consumo. Il terzo è il fabbisogno medio di un uomo di sana e robusta corporatura. Il primo valore è puramente teorico, poiché non si realizzerà mai il pieno sfruttamento della superficie terrestre. Il secondo è quello su cui convergono i nostri sforzi. Sbagliando.
A quelle parole, un uomo dell’età di circa quaranta, quarantacinque anni, si alzò in piedi aumentando il tono della voce per riuscire a farsi sentire dal maggior numero di colleghi possibile. Compreso il Dottor Chances, ovviamente.
Beh, ma è ovvio. Non possiamo mica diminuire la quantità di calorie giornaliera di ogni uomo sulla Terra.
Uno scrosciante applauso scosse l’aria. L’anziano Professore di origini austriache non si scompose. Attese che sulla sala tornasse a calare assoluto silenzio e riprese il filo del suo discorso.
Illustre Professor Lee, concordo pienamente con la sua analisi…
I mormorii di esaltazione tra i suoi sostenitori si sprecarono.
Non si può ridurre il fabbisogno calorico giornaliero degli esseri umani senza incorrere in problemi di denutrizione. Tuttavia, è possibile ridurre il fabbisogno produttivo mondiale senza limitare le nascite.
La platea si divise in due nuovi fronti: gli scettici ed i confusi. Con una seria prevalenza dei primi.
Chi di voi mi sa dire quanti olmi è possibile far crescere in un metro quadrato?
Il Professore cercò con lo sguardo di verificare se tra i suoi colleghi vi fosse qualcuno in grado di rispondere a questa domanda.Il Professor Kirby stava per alzarsi dalla sua seggiola ma fu preceduto dalla giovane Kate O’Sullivan. Leggermente infastidito, l’anziano Professore fece una smorfia e tornò ad accomodarsi compostamente.
Quattro. Rispose la giovane ambasciatrice con una punta d’imbarazzo.
Nella sala si alzarono cori di dissenso. Qualcuno obiettò che la riunione non doveva essere aperta a tutti e che l’increscioso incidente che si era appena verificato lo dimostrava ampiamente. Perché non era possibile far crescere quattro piante così grosse in uno spazio tanto piccolo. Il Dottor Chances si rivolse verso la giovinetta e provò a domandarle una spiegazione più dettagliata.
E perché, di grazia, lei è convinta che sia possibile far crescere quattro piante di Olmo in un solo metro quadrato? Chiese divertendosi.
Bonsai…
Che… che cos’è? Domandò un Professore seduto nelle prime file.
Vuole spiegarlo lei, Signorina O’Sullivan?
Beh… ecco… si tratta di quelle procedure per la coltivazione delle piante che fanno sì che esse crescano uguali identiche all’originale. Fuorché per l’altezza.
E cioè?
E cioè crescono con un’altezza certamente inferiore.
L’anziano Professore sorrise compiaciuto. Gli altri scienziati si guardarono gli uni con gli altri accomunati dallo stesso, identico, stato d’incomprensione. Il Professore decise che era giunto il momento di calare il suo poker d’assi e chiudere la partita.
Bene. E che cosa accadrebbe se nello stesso metro quadro di cui ho parlato prima fosse possibile mettere… anziché quattro olmi, diciamo… attese qualche istante… DIECI uomini…
Dalla platea si levarono cori di sdegno e disapprovazione rivolti verso l’anziano Professore. Questi restò al suo posto, quasi immobile, senza battere ciglio.
E che cosa vorrebbe fare, di grazia? Coltivare una nuova razza di umani? Dobbiamo dar corpo alle leggende sui Coboldi, forse?
Altri inveirono letteralmente contro il Dottor Chances.
Assurdo. Chiunque propugni esperimenti genetici per modificare gli esseri umani è un pazzo. Ed un criminale… Esclamò uno dei più esagitati che stava cercando di salire sul palco per discutere la sua tesi direttamente con il Dottor Chances, in modo tutt’altro che pacifico.
Alcuni scienziati la presero sul ridere.
E come riuscirebbe a ridurre l’altezza dei neonati? Segando loro le gambe? Disse uno di costoro, unendo a queste parole ampi gesti di scherno.
I più erano così indignati che minacciavano di salire sul palco e di venire alle mani col Professore, il quale tutto era meno che persona che cercava di prevalere in una discussione usando la violenza. Un coraggioso addetto alla sicurezza si frappose tra lui ed i suoi inviperiti colleghi. Nel frattempo, un suo collega si preoccupò di portare il Dottor Chances in salvo.
Mi segua, la prego. Fu il cordiale invito dell’agente addetto alla sicurezza.
Stolti. Non sono in grado di vedere più in là del loro naso.
I due si divincolarono nella ressa tra scienziati e addetti all’ordine. L’agente aprì una porta ed invitò il Dottor Chances a seguirlo. Quest’ultimo si dimostrò diligente e tenne il passo del ben più giovane addetto alla sicurezza. Superarono un paio di ampi corridoi e poi scesero da una rampa di scale fino al piano inferiore. Aperta un'altra porta, affrontarono un nuovo corridoio e si diressero verso gli ascensori.
Entriamo. Affrettiamoci. Suggerì l’addetto al Dottor Chances che sembrava incollato al suo fianco e senza nemmeno un po’ di fiatone. Il giovane agente si stupì della tonicità dimostrata dallo scienziato settantenne. Considerò che avrebbe voluto mantenersi così in forma quando avrebbe avuto la sua età. Pigiò il tasto relativo al primo piano ed attese di raggiungerlo, cercando di conversare con lo scienziato. Se aveva causato tutto quel putiferio, il vecchietto non doveva esserci più tanto con la testa, pensò.
Stolti. Si rifiutano di capire. Anzi, peggio, di vedere ciò che gli sta passando davanti agli occhi. Disse il vecchio.
Perdoni la mia ignoranza, ma che cos’è che non vedono?
Il vecchio sorrise con soddisfazione.
Vede, giovanotto, le risorse agricole del pianeta Terra si stanno esaurendo se rapportate al numero di persone che la abitano. Posto che il nostro fabbisogno energetico non si può diminuire, occorre aumentare le risorse a disposizione. Non è pensabile che l’uomo possa sopravvivere con una quantità di cibo, di acqua e di aria, inferiore a quello che richiede il suo metabolismo. Dunque, ci troviamo di fronte ad un pesantissimo dilemma: diminuiamo il numero degli esseri umani o… Disse temporeggiando in modo volutamente sibillino.
O…? Chiese timidamente l’agente addetto alla sicurezza, accompagnando la sua domanda con un veemente gesto della mano.
…oppure aumentiamo le scorte alimentari? Domandò il Dottore accompagnando a quelle parole un sorriso pregno di puro sarcasmo.
Quest’ultima, direi. Fu la scontata replica dell’agente.
E come pensa di farlo? Lo incalzò l’uomo di scienza. Il suolo terrestre è abbondantemente sfruttato. Anzi, con il fenomeno della "desertificazione" in corso è assai probabile che non si riesca a mantenere lo stesso livello di sfruttamento adottato in precedenza. Terminò amaramente.
E dunque? Che cosa possiamo fare? Chiese l’agente, non nascondendo la sua preoccupazione.
Il vecchio sorrise con ancor più intensità.
C’è molto che possiamo fare. Mi creda giovanotto. C’è molto che possiamo fare.
Non appena furono giunti al primo piano, l’agente invitò il Dottor Chances a seguirlo e, discese le due ultime rampe di scale, uscirono da una porta di servizio. Prima di continuare a percorrere quel labirinto di corridoi ed uffici, lo scienziato si voltò, guardò bene il viso dell’agente e gli porse una domanda.
Come ti chiami, giovanotto? O’Sullivan. Robert O’Sullivan. Mio fratello è il famoso Jack O’Sullivan. Il Dottore sembrò stupirsi di questo fatto ma riprese in fretta il controllo delle sue emozioni e lo guardò con tenera benevolenza. Il giovane non fece in tempo a spiegare in quale modo il vecchio scienziato sarebbe potuto uscire dall’edificio che quest’ultimo sparì. Strano uomo, pensò. Sembrava così lucido. Quando avevano dialogato in ascensore, seppur per pochi istanti, gli era parso persona ancora nel pieno delle sue capacità intellettive. Ma che diamine, non poteva essere così. Se uno scienziato riesce a mettersi contro tutti i cervelloni della FAO, non può essere a posto con il cervello. Questa fu la conclusione cui l’agente giunse dopo quei brevi attimi trascorsi con un individuo indubbiamente brillante ma che aveva un’età anagrafica di circa settant’anni. Anche se fisicamente ne dimostrava quasi una ventina di meno.
FAO
Al palazzo della FAO, quel giorno del Millenovecento ottanta, l'atmosfera, non avrebbe dovuto essere delle più tranquille. Il tempo era clemente ed il sole scorrazzava indisturbato nel cielo illuminando ogni angolo della città. Il traffico stradale scorreva nelle arterie della zona interessata con la stessa velocità con cui sono riempiti i boccali di birra in Baviera durante l’oktoberfest. Persino i semafori sembravano contagiati da questo clima di apparente elettricità, tanto che ogni automobilista aveva l’impressione di trovare luce verde ad ogni incrocio. La routine lavorativa snervava la gente comune lasciandola priva di suggestioni e vitalità. Gli operai nei cantieri edili si muovevano in modo meccanico e le industrie locali stavano diventando parte passiva del paesaggio naturale. L’insofferenza e il disinteresse sembravano essere le uniche sensazioni degne di nota su quella terra in passato così vigorosa e vivace. L’assemblea del Food and Agriculture Organization si poneva in netto contrasto con tutto ciò che viveva fuori del palazzo in Via Terme di Caracalla a Roma. Che l’unica fonte di vitalità del luogo fosse in una situazione critica era assai paradossale ma in verità era da parecchio tempo che i dissidi si perpetuavano tra le mura di cemento del palazzo. Due opposte fazioni di delegati si scontravano a suon di protocolli e carte bollate sulla politica da adottare per i successivi venti anni. Da una parte si schieravano gli SMILERS, dall’altra i PURSUERS. I dati forniti dal primo dei due gruppi descrivevano una situazione ambientale che risentiva del forte inquinamento ma solo in modo marginale e, anzi, vedeva un netto miglioramento laddove la mano dell'uomo era intervenuta per correggere difetti di madre natura. Come se potesse averne. Il secondo gruppo, invece, era un po' meno ottimista. La terra non stava certo vivendo una nuova età dell'oro. Il prodotto dei raccolti era in diminuzione rispetto al quinquennio precedente. La fascia d’ozono destava forti preoccupazioni. Le malattie respiratorie, e quella provocate dall'inquinamento idrico, erano in notevole rialzo. I due contendenti predicavano l’uno attendismo, l'altro un moderato intervento. O’Sullivan, Mac Rawnee e Dougall, dopo essere stati insigniti di numerose onorificenze militari nel loro paese d’origine, avevano deciso di trasferirsi in Inghilterra, con le rispettive famiglie al termine della grande guerra. I figli John, Charles e Kate (O’Sullivan), Mark e Angel (Mac Rawnee), Timothy e Sally (Dougall) crebbero in suolo britannico e formarono a loro volta nuovi rami della discendenza. Legati storicamente da una salda amicizia affrontarono insieme un nuovo viaggio, verso la Scozia e qui nacquero le nuove generazioni. Jack O’Sullivan (figlio di Charles e Tina Quantrill), Thomas Mac Rawnee (figlio di Mark e Louise Lasser) e Agatha Dougall (figlia di Timothy e Geraldine Mc Claire), divennero ambasciatori presso la FAO e, seppur con toni meno accesi, presero involontariamente parte alla disputa. In realtà, nessuno di loro faceva parte di alcun gruppo di contendenti. La loro opinione era assai meno morbida degli SMILERS e sicuramente più accentuata di quella dei PURSUERS. Pensavano che le cose non stessero andando per niente bene e che occorreva fare qualcosa. E in fretta. Quel giorno attendevano di poter tenere un breve ma rilevante discorso. Secondo la loro opinione, lo sfruttamento del pianeta Terra aveva bisogno di essere meglio disciplinato. Senza lanciare eccessivi allarmismi, essi erano convinti che occorresse limitare l'emissione di anidride carbonica, principale responsabile dell'effetto serra. Quando arrivò il loro turno, essi esposero le proprie considerazioni e conclusioni. E furono moderatamente soddisfatti. Terminato l'intervento, si accomodarono nelle poltrone di pelle nera nel settore di appartenenza. A seguire, ci sarebbe stato un esimio professore austriaco di cui non si sapeva molto. Solo il suo nome: Eugene Chances. Questi era un individuo di altezza media, dal giro vita non tenuto sotto controllo. Vestiva abiti di lusso ma mal combinati tra loro. Il che poteva significare una cosa sola: che aveva i quattrini per permettersi ogni tipo di capriccio mondano ma non una frequentazione dei salotti che contano, sufficiente a raggiungere un giusto grado di esperienza in materia. Questo esimio Professore si avviò verso il leggio tra il silenzio generale. Improvvisamente e senza spiegazione apparente, i gruppi e le fazioni contrapposte si zittirono e decisero all’unisono di ascoltare con austera attenzione il suo intervento. L’anziano cattedratico sistemò i suoi fogli, diede un severo sguardo alla sua platea e incominciò a parlare.
Ho ascoltato con moderato interesse quanto affermato in questi giorni dai miei illustri colleghi. Esordì usando un tono colloquiale, parole equilibrate, sforzandosi di guardare le persone sedute in sala allo stesso modo per non dare adito al pensiero che potesse parteggiare per una fazione a svantaggio dell’altra. Trovo illuminante l’analisi fatta dal Professor Stanislaw Lee…
Un leggero eco di soddisfazione si alzò da quella parte di platea che si riconosceva nelle tesi dell’esimio Professor Lee. Un velato ma garbato coro di dissenso giunse, invece, da quanti non appoggiavano quell’intervento.
Al contempo, non ho nulla da ridire per quella del Professor Jackob Kirby.
La scena precedente si ripeté. A parti invertite, però. Chi prima aveva gioito compostamente ora mugugnava. E viceversa. Il Dottor Chances non sembrò minimamente curarsi dell’esito del suo discorso e proseguì senza interruzione.
Però, lasciatemi dire cari colleghi, manca qualcosa d’importante in ognuna delle nostre iniziative.
A quel punto tutti, in platea, mugugnarono e aggrottarono la fronte. Ovviamente, superato il primo attimo di stupore, gli SMILERS pensarono che il Professore si stesse preparando a portare la stoccata decisiva nei confronti dei PURSUERS. Naturalmente, com’è ovvio, i PURSUERS stavano pensando l’esatto contrario.
Sì. Ne sono assolutamente convinto. Ci stiamo dividendo sulla prospettiva del mondo dei prossimi lustri senza prevedere un fattore fondamentale. Rimarcò, stringendo i bordi di legno del leggio come a voler trovare la forza per fare ciò che riteneva andasse fatto. Alla nostra equazione manca un termine. Un valore. Mi spiego meglio. Fino ad oggi il nostro obiettivo è sempre stato quello di verificare quali capacità avesse la Terra di produrre cibo e la abbiamo suddivisa per il numero dei suoi abitanti.
Ognuno, compostamente seduto in platea, guardò meravigliato il Dottor Chances, come se quest’ultimo avesse scoperto l’acqua calda. Chiedendosi con il massimo stupore dove volesse andare a parare. Il Professore si preparò a sconvolgere tutti i presenti.
Diamo per scontato che esistano tre valori fissi. Il primo è quello che tecnicamente la Terra è in grado di produrre se ogni ettaro fosse coltivato. Il secondo è quello che scaturisce dai dati dei vari Paesi negli ultimi lustri: il prodotto agricolo rapportato agli agenti atmosferici, alle scelte politiche, al consumo. Il terzo è il fabbisogno medio di un uomo di sana e robusta corporatura. Il primo valore è puramente teorico, poiché non si realizzerà mai il pieno sfruttamento della superficie terrestre. Il secondo è quello su cui convergono i nostri sforzi. Sbagliando.
A quelle parole, un uomo dell’età di circa quaranta, quarantacinque anni, si alzò in piedi aumentando il tono della voce per riuscire a farsi sentire dal maggior numero di colleghi possibile. Compreso il Dottor Chances, ovviamente.
Beh, ma è ovvio. Non possiamo mica diminuire la quantità di calorie giornaliera di ogni uomo sulla Terra.
Uno scrosciante applauso scosse l’aria. L’anziano Professore di origini austriache non si scompose. Attese che sulla sala tornasse a calare assoluto silenzio e riprese il filo del suo discorso.
Illustre Professor Lee, concordo pienamente con la sua analisi…
I mormorii di esaltazione tra i suoi sostenitori si sprecarono.
Non si può ridurre il fabbisogno calorico giornaliero degli esseri umani senza incorrere in problemi di denutrizione. Tuttavia, è possibile ridurre il fabbisogno produttivo mondiale senza limitare le nascite.
La platea si divise in due nuovi fronti: gli scettici ed i confusi. Con una seria prevalenza dei primi.
Chi di voi mi sa dire quanti olmi è possibile far crescere in un metro quadrato?
Il Professore cercò con lo sguardo di verificare se tra i suoi colleghi vi fosse qualcuno in grado di rispondere a questa domanda.Il Professor Kirby stava per alzarsi dalla sua seggiola ma fu preceduto dalla giovane Kate O’Sullivan. Leggermente infastidito, l’anziano Professore fece una smorfia e tornò ad accomodarsi compostamente.
Quattro. Rispose la giovane ambasciatrice con una punta d’imbarazzo.
Nella sala si alzarono cori di dissenso. Qualcuno obiettò che la riunione non doveva essere aperta a tutti e che l’increscioso incidente che si era appena verificato lo dimostrava ampiamente. Perché non era possibile far crescere quattro piante così grosse in uno spazio tanto piccolo. Il Dottor Chances si rivolse verso la giovinetta e provò a domandarle una spiegazione più dettagliata.
E perché, di grazia, lei è convinta che sia possibile far crescere quattro piante di Olmo in un solo metro quadrato? Chiese divertendosi.
Bonsai…
Che… che cos’è? Domandò un Professore seduto nelle prime file.
Vuole spiegarlo lei, Signorina O’Sullivan?
Beh… ecco… si tratta di quelle procedure per la coltivazione delle piante che fanno sì che esse crescano uguali identiche all’originale. Fuorché per l’altezza.
E cioè?
E cioè crescono con un’altezza certamente inferiore.
L’anziano Professore sorrise compiaciuto. Gli altri scienziati si guardarono gli uni con gli altri accomunati dallo stesso, identico, stato d’incomprensione. Il Professore decise che era giunto il momento di calare il suo poker d’assi e chiudere la partita.
Bene. E che cosa accadrebbe se nello stesso metro quadro di cui ho parlato prima fosse possibile mettere… anziché quattro olmi, diciamo… attese qualche istante… DIECI uomini…
Dalla platea si levarono cori di sdegno e disapprovazione rivolti verso l’anziano Professore. Questi restò al suo posto, quasi immobile, senza battere ciglio.
E che cosa vorrebbe fare, di grazia? Coltivare una nuova razza di umani? Dobbiamo dar corpo alle leggende sui Coboldi, forse?
Altri inveirono letteralmente contro il Dottor Chances.
Assurdo. Chiunque propugni esperimenti genetici per modificare gli esseri umani è un pazzo. Ed un criminale… Esclamò uno dei più esagitati che stava cercando di salire sul palco per discutere la sua tesi direttamente con il Dottor Chances, in modo tutt’altro che pacifico.
Alcuni scienziati la presero sul ridere.
E come riuscirebbe a ridurre l’altezza dei neonati? Segando loro le gambe? Disse uno di costoro, unendo a queste parole ampi gesti di scherno.
I più erano così indignati che minacciavano di salire sul palco e di venire alle mani col Professore, il quale tutto era meno che persona che cercava di prevalere in una discussione usando la violenza. Un coraggioso addetto alla sicurezza si frappose tra lui ed i suoi inviperiti colleghi. Nel frattempo, un suo collega si preoccupò di portare il Dottor Chances in salvo.
Mi segua, la prego. Fu il cordiale invito dell’agente addetto alla sicurezza.
Stolti. Non sono in grado di vedere più in là del loro naso.
I due si divincolarono nella ressa tra scienziati e addetti all’ordine. L’agente aprì una porta ed invitò il Dottor Chances a seguirlo. Quest’ultimo si dimostrò diligente e tenne il passo del ben più giovane addetto alla sicurezza. Superarono un paio di ampi corridoi e poi scesero da una rampa di scale fino al piano inferiore. Aperta un'altra porta, affrontarono un nuovo corridoio e si diressero verso gli ascensori.
Entriamo. Affrettiamoci. Suggerì l’addetto al Dottor Chances che sembrava incollato al suo fianco e senza nemmeno un po’ di fiatone. Il giovane agente si stupì della tonicità dimostrata dallo scienziato settantenne. Considerò che avrebbe voluto mantenersi così in forma quando avrebbe avuto la sua età. Pigiò il tasto relativo al primo piano ed attese di raggiungerlo, cercando di conversare con lo scienziato. Se aveva causato tutto quel putiferio, il vecchietto non doveva esserci più tanto con la testa, pensò.
Stolti. Si rifiutano di capire. Anzi, peggio, di vedere ciò che gli sta passando davanti agli occhi. Disse il vecchio.
Perdoni la mia ignoranza, ma che cos’è che non vedono?
Il vecchio sorrise con soddisfazione.
Vede, giovanotto, le risorse agricole del pianeta Terra si stanno esaurendo se rapportate al numero di persone che la abitano. Posto che il nostro fabbisogno energetico non si può diminuire, occorre aumentare le risorse a disposizione. Non è pensabile che l’uomo possa sopravvivere con una quantità di cibo, di acqua e di aria, inferiore a quello che richiede il suo metabolismo. Dunque, ci troviamo di fronte ad un pesantissimo dilemma: diminuiamo il numero degli esseri umani o… Disse temporeggiando in modo volutamente sibillino.
O…? Chiese timidamente l’agente addetto alla sicurezza, accompagnando la sua domanda con un veemente gesto della mano.
…oppure aumentiamo le scorte alimentari? Domandò il Dottore accompagnando a quelle parole un sorriso pregno di puro sarcasmo.
Quest’ultima, direi. Fu la scontata replica dell’agente.
E come pensa di farlo? Lo incalzò l’uomo di scienza. Il suolo terrestre è abbondantemente sfruttato. Anzi, con il fenomeno della "desertificazione" in corso è assai probabile che non si riesca a mantenere lo stesso livello di sfruttamento adottato in precedenza. Terminò amaramente.
E dunque? Che cosa possiamo fare? Chiese l’agente, non nascondendo la sua preoccupazione.
Il vecchio sorrise con ancor più intensità.
C’è molto che possiamo fare. Mi creda giovanotto. C’è molto che possiamo fare.
Non appena furono giunti al primo piano, l’agente invitò il Dottor Chances a seguirlo e, discese le due ultime rampe di scale, uscirono da una porta di servizio. Prima di continuare a percorrere quel labirinto di corridoi ed uffici, lo scienziato si voltò, guardò bene il viso dell’agente e gli porse una domanda.
Come ti chiami, giovanotto? O’Sullivan. Robert O’Sullivan. Mio fratello è il famoso Jack O’Sullivan. Il Dottore sembrò stupirsi di questo fatto ma riprese in fretta il controllo delle sue emozioni e lo guardò con tenera benevolenza. Il giovane non fece in tempo a spiegare in quale modo il vecchio scienziato sarebbe potuto uscire dall’edificio che quest’ultimo sparì. Strano uomo, pensò. Sembrava così lucido. Quando avevano dialogato in ascensore, seppur per pochi istanti, gli era parso persona ancora nel pieno delle sue capacità intellettive. Ma che diamine, non poteva essere così. Se uno scienziato riesce a mettersi contro tutti i cervelloni della FAO, non può essere a posto con il cervello. Questa fu la conclusione cui l’agente giunse dopo quei brevi attimi trascorsi con un individuo indubbiamente brillante ma che aveva un’età anagrafica di circa settant’anni. Anche se fisicamente ne dimostrava quasi una ventina di meno.